Trekking alle Isole Egadi Sicilia

Sabato 21 maggio 2022
Sabato 28 maggio 2022  (evento passato)

Tipo attività: Escursione Semplice
Sezione di Vicenza
Responsabile: Lucia Savio - Valeria Scambi



Programma



TREKKING NELL’AREA MARINA PROTETTA DELLE ISOLE EGADI
Ultimo lembo della Sicilia Occidentale, ai confini con l’Africa, sorge l’arcipelago delle Egadi. E’ composto da tre isole principali: Favignana, con un’estensione di 19 kmq, Marettimo di 12 kmq, Levanzo con circa 6 kmq; e due piccoli isolotti: Maraone (disabitata) e Formica. L'isola di Ma- rettimo è quella che offre, oltre che le maggiori opportunità escursionisti- che delle Egadi, la tranquillità, la cordialità dei suoi abitanti, e la bellezza del suo paesaggio. Gli splendidi fondali che circondano le isole, ricchi di flora e fauna ma anche di reperti archeologici, le coste affascinanti e selvagge ne fanno un piccolo paradiso terrestre, tutelato dall’Area Mari- na Protetta delle Isole Egadi, la più estesa riserva marina d’Europa. La riserva Naturale Orientata dello Zingaro, posta nella parte nordocciden- tale della Sicilia, in provincia di Trapani, ha una fascia litoranea di circa 7 Km, formata da una costa rocciosa caratterizzata da strapiombanti fa- lesie che portano rapidamente al mare.
Favignana, Marettimo, Levanzo e all’ultimo giorno la Riserva Naturale
della Zingaro, faranno da cornice alle sei giornate di cammino del Trekking GM Vicenza 2022. I percorsi saranno di media difficoltà. Tra- scorreremo quattro notti in case dei pescatori a Marettimo, due notti in hotel a Favignana e una notte in hotel a Trapani. Viaggio in aereo e pul- lman privati. Viene diffuso in altra sede il programma particolareggiato.
DISLIVELLO: 500 m ogni giorno
TEMPI: ore 6 ogni giorno
ISCRIZIONI: a partire dal 1 Dicembre 2021, fino ad esaurimento dei 25 posti
CAPOGITA: Lucia Savio, cell. 347 7505583;
Valeria Scambi, cell. 338 8673968
 



Relazione



SABATO 21 MAGGIO – 1° GIORNO - VICENZA PALERMO MARETTIMO
Finalmente si parte; dopo una levataccia (ore tre del mattino) e un viaggio in autobus, “la compagnia del trivein” (cit. Valeria) giunge all’aeroporto Marco Polo di Venezia per il tanto atteso imbarco verso Palermo.
A destinazione, Punta Raisi aeroporto Falcone e Borsellino, ci aspetta Francesco il nostro autista che ci condurrà fino a Trapani. Lungo la strada l’autista ci consiglia una fermata per assaggiare i famosi cannoli siciliani e ci porta a Fulgadore, il suo paese, dove ci aspettano dei buonissimi “cannoli” alla ricotta e una varietà di altre prelibatezze locali.
Tornati all’autobus la nostra capogita Lucia fa la sua prima conta: “con gnente ve perdemo…” (cit. Valeria, ancora una volta) per escludere che qualcuno non sia rimasto in pasticceria.
Il viaggio riparte tra campi coltivati, vigneti, paesi arroccati e per un attimo intravvediamo anche il tempio di Segesta, che visiteremo a fine settimana prima di tornare verso Nord.
Visto il tempo a disposizione, prima dell’imbarco in aliscafo, facciamo rotta verso le saline di Paceco, dove visitiamo il museo del sale all’intermo del vecchio mulino Culcasi a Nubia (luogo di produzione, anche, del famoso aglio rosso) facciamo il giro delle saline, qualche acquisto e si riparte destinazione rosticceria siciliana per il pranzo (pane e panelle, pane cunzato, sfincioni, ecc… così che la futura prova bilancia promette bene fin da subito).
Finalmente giungiamo in porto dove alle 15 ci aspetta l’aliscafo e facciamo la conoscenza con Peppe la nostra guida Naturaliter che ci accompagnerà in questa settimana alle isole Egadi.
Dopo circa novanta minuti arriviamo a Marettimo (la più lontana e selvaggia delle isole Egadi) dove ci aspettano delle signore che affittano le camere: veniamo così smistati nelle varie case dell’isola per il pernottamento e finalmente godiamo di un po’ di relax prima della cena al ristorante il Veliero.
Dopo un mega cannolo e un pane cunzato non poteva mancare il famoso couscous alla Trapanese, ovviamente “bagnato” da un buon Grillo Parlante (Bianco locale). La buona notte ora è d’obbligo, domani ci aspetta una lunga e impegnativa giornata in compagnia di Peppe per la prima escursione a Marettimo.    (Paola&Giordano)

DOMENICA 22 MAGGIO - 2° GIORNO - A MARETTIMO
Dopo una colazione arricchita da macedonia e frutta, eccoci sulla piazzetta del porticciolo per l'appuntamento con Peppe, la nostra guida attenta e competente.
Partiamo alla scoperta di Marettimo, l'isola meno abitata e piu' remota dell'arcipelago delle Egadi.
Iniziamo con un ombreggiato sentiero, tutto in salita, che ci conduce alla località Case Romane.
Gia' nell' antichita' gli abitanti del posto avevano fatto tesoro di una preziosa sorgente di acqua dolce, oltre al fatto che l'altitudine rendeva piu' sicuro l'abitato dalle incursioni dei pirati. Spettacolare e' stata la visita alla chiesetta bizantina risalente all'11° secolo, rigorosamente orientata ad oriente. Vero gioiello in un ambiente suggestivo.
Riprendiamo il cammino in salita tra cespugli di lentisco ed euforbia, detta anche pianta corallo perche' durante l'estate rimangono rami decorativi rigorosamente tinti di rosso acceso.
Arrivati ad una selletta, una decina di noi procede verso la cima piu' alta dell'arcipelago, monte Falcone di m. 686. Dalla vetta è facile rendersi conto che Marettimo dista ben 20 miglia marine da Trapani, separatasi milioni di anni fa dalla Sicilia con un profondissimo canale.
Ci aspetta ora una lunghissima discesa che ci permette di arrivare ai piedi di punta Troia, alla cui sommita' svetta un caratteristico ed emblematico forte, gia' prigione politica in eta' borbonica. Nessuno di noi ha saputo resistere ad un tuffo ristoratore nella caletta dello scalo Maestro.
Poi, subito a bordo per un meritato pranzo a base di pasta con sugo trapanese. L'appetito non ci mancava. Il nostro nocchiero ci accomagna poi al periplo dell'isola: Punta Mugnone a nord ovest. Doppiato il capo, la scogliera di pietra dolomia, rosata e dorata, si fa piu' aspra ed a tratti verticale. Il timoniere e' coraggioso e spericolato: riesce ad accostare l'imbarcazione alle rocce e ci accompagna alla scoperta di una serie di grotte: Perciata, Ficaretta, dell'Amore, del Presepe e Bombarda. I nostri fotografi si scatenano per immortalare tutte le sfumature di quelle acque turchesi e cristalline. Meglio di un film. Superato il faro di Punta Libeccio e doppiata punta Bassana, in un attimo raggiungiamo l'abitato di Marettimo, tutto bianco, molto simile ai paesini delle isole greche. Poi appuntamento al ristorante Al Veliero per un'ottima cena a base di pesce e vino Grillo della cantina Aegades.Una giornata piena ed indimenticabile. (Dolly)

LUNEDI’ 23 MAGGIO - 3° GIORNO - A MARETTIMO
Scriviamo ora, a poche ore dalla giornata vissuta, con ancora vive le emozioni che sole, colori, cielo e mare hanno saputo pervadere il nostro cuore, la nostra mente, il nostro corpo. Il gruppo è ben compatto. Ormai abbiamo capito che, il ns capitano, la guida Peppe, ci tiene molto alla puntualità e noi lo accontentiamo.
Anche questa mattina, infatti, l’appuntamento era per le otto in Piazzetta. Destinazione finale Cala Nera dove è prevista una sosta per bagno e pranzo sulla barca. Escursione meno impegnativa di ieri.
Puntuale, e con un certo anticipo, il gruppo si riunisce. Qualcuno però salta l’appuntamento e preferisce prendersi un po’ di sano relax. Forse i postumi del giorno prima si fanno ancora sentire.
Partiamo decisi. Raggiunta la località Case Romane, anziché proseguire, stavolta si gira a sinistra e si prende un sentiero ombreggiato, dentro un boschetto (tanto desiderato ieri!).
Qualcuno tiene il passo e cammina spedito, ma altri si fanno attendere un po’ e così si coglie l’occasione per chiacchierare, dissetarsi, scattare ancora foto ricordo.
Ricompattato, il gruppo riprende a salire, fra tratti esposti al sole e momenti d'impagabile ombra.
La nostra prima destinazione da raggiungere a circa un'ora di cammino è Semaforo, a circa 500 mt di altezza. Ancora una piccola sosta panoramica prima dell’ultimo “strappo”. Peppe ci spiega che quell’edificio di mussoliniana memoria, ormai ridotto solo a rudere pericolante, era un punto aereo di osservazione, abbandonato da moltissimi anni.
Oggi il mare mostra i segni di un imminente cambiamento atmosferico e, infatti, è coperto da nubi bianche ma il panorama man mano che si sale, è stupendo.
Foto di gruppo in ricordo, qualche momento per rifocillarsi e dopo circa mezz’oretta Peppe ci invita a ripartire. Direzione Il Faro. Il sentiero mette anche oggi a dura prova le nostre ginocchia, ma la Giovane Montagna non cede e proseguiamo determinati affrontando una discesa a volte impegnativa, a tratti esposta al sole. La discesa termina dentro un bel boschetto dove ne approfittiamo per addentare qualche snack, bere e …attendere Betti e Valeria che chiacchierando ci raggiungono.
Dopo alcuni chilometri arriviamo al Faro. Molto bello anche se abbandonato. Nel mezzo di una natura incontaminata, immersi nel silenzio, interrotto solo dallo stridio dei gabbiani e dal rumore delle onde del mare. Percorriamo ancora un sentiero per circa un chilometro e finalmente arriviamo a Cala Nera, dove dopo un po’ ci raggiunge la barca per il pranzo, non prima però del bagno ristoratore che alcuni irriducibili, nonostante la presenza di numerose meduse, si accingono a fare.
Rientrati a Marettimo in barca, non sono finite le sorprese: Peppe, infatti, ci ricorda l’appuntamento delle 19.00, al solito bar in piazzetta, dove ci attenderà una degustazione di prodotti tutti a base di tonno. Tredici piatti, divorati in un attimo (solo dopo aver ascoltato la spiegazione della loro origine), ma l’ora era quella giusta e la fame era tanta!
Cena al solito ristorante e poi a nanna. Ci aspetta il quarto giorno. E sarà sicuramente sempre ricco di emozioni.               (Nelly&Aurora)

MARTEDI’ 24 MAGGIO – 4° GIORNO - A MARETTIMO    
Eccoci al nostro terzo giorno effettivo di trekking, ormai temprate dalla fatica e dal sole. Oggi la nostra meta è Punta Bassana estremo lembo a sud/ovest dell'isola di Marettimo.
Il gruppo, accompagnato dagli schiamazzi di un nutrito stormo di gabbiani che seguono un peschereccio evidentemente per scroccare un po' di pesce, procede unito e compatto, lungo il mare, fino al cimitero del paese e qui si divide, una parte per salire direttamente alla Carcaredda dove è previsto il pranzo, una parte per raggiungere Punta Bassana.
La prima parte del sentiero sale fino a raggiungere la dorsale che attraverso due selle percorriamo per un lungo tratto con il mare su entrambi i lati e la bellezza è tale che non si sa più se ammirare le cale, gli scogli, le pozze tra le rocce, gli scorci alla nostra destra o alla nostra sinistra.
L'ultimo pezzo per arrivare alla Punta non è un sentiero ma un'idea di sentiero conosciuto solo dai camosci – qui dai mufloni – e da Peppe che con sicurezza ci guida da uno spuntone di roccia all'altro fino a raggiungere la cima segnata da una rozza croce fatta con rami secchi.
Ma la fatica è ampiamente premiata dallo spettacolo che si gode da lassù. Il contrasto tra il blu, a volte turchese, del mare, il colore ocra, a volte bianco abbagliante, delle rocce, il verde dei cespugli di lentisco, di rosmarino, di timo, dei pini marittimi del bosco e le macchie rosso acceso dell'euforbia formano uno spettacolo incredibilmente bello.
Ripreso il sentiero da capre e per un percorso differente, in un tratto particolarmente difficoltoso ma superato brillantemente grazie all'aiuto di Peppe e Nicola, arriviamo alla postazione forestale della Carcaredda dove ci ricongiungiamo al resto del gruppo arrivato prima di noi.
Un'ultima fatica per raggiungere la località Carrello dove giace abbandonato un carrello da miniera e ritorno alla Carcaredda dove ci aspetta una sontuosa grigliata di salsicce che vengono trasferite in giganteschi panini poi farciti con pomodori e capperi e, per gli amanti, anche con cipolla.
Il gruppo rifocillato e compatto imbocca il sentiero per un lungo tratto in mezzo al bosco, che con una serie di tornanti ci porta giù fino al mare dove la maggior parte raggiunge la Praia Nacchi, una spiaggetta di sassi tra spuntoni di roccia, per fare il bagno e riposarsi al sole. (Gabriella)

MERCOLEDI’ 25 MAGGIO – 5° GIORNO - ISOLA DI LEVANZO
Oggi si lascia Marettimo per Levanzo ed il clima festoso per le novità che incontreremo è inibito un pochettino dal mare battuto dallo scirocco. Si ammirano ancora le cime dell’isola, il cielo, i gabbiani, il porticciolo, meno le increspature del mare: arriverà l’aliscafo? Domande più inquietanti sulla natura della traversata non vengono espresse, meglio evitare inopportuni allarmismi. Rassicurato dai sorridenti pendolari che lasciano l’imbarcazione giunta con poco ritardo, il gruppo prende posto sulle poltrone dove si prevede il dondolio meno intenso. Nonostante le preci rivolte a Santi protettori, a divinità punico-greco-romane, la traversata è tutta sussulti, salti, ondeggiamenti e gridolini in sordina. “Sta bene signora o la soffio ancora?” è il ritornello dello steward di bordo (un bel toso!): con fare simpatico e rassicurante intrattiene così il pubblico, sventolando di persona le signore carine con un cartoncino. “Forza, ventilatevi con il foglio plastificato che trovate nella tasca della poltrona!”. E non smette la distribuzione di rosei sacchettini di plastica.
Finalmente si approda un po’ sbatacchiati a Levanzo, l’isola più vicina a Trapani. Lasciati i bagagli in luogo sicuro poco oltre cala Dogana, ha inizio l’itinerario verso la meta odierna: la Grotta del Genovese, sito privato, in cui ci farà da guida il proprietario.
Ci si incammina tra le viuzze del centro, ricevendo il buongiorno assieme ad un pieghevole informativo. Tra orti, muretti a secco, fichi d’india giganti e giardini sfiliamo rapidi davanti a Villa Burgarella di fine XIX° secolo.
Il viottolo in salita, tra profumo di mirto e lentisco, presto diventa strada asfaltata, poi sterrata.
Nella campagna mediterranea si fa notare l’immensa masseria dove la famiglia Florio trascorreva il periodo dell'anno dedicato alla vendemmia. Nelle cantine gigantesche, botti in rovere servivano ad invecchiare il vino da 16 gradi.
Ora la Villa in centro e questa masseria sono da tempo di proprietà dei signori della moda: i Prada.
Lungo il percorso Peppe ci fa notare torri di avvistamento e l’isola di Formica. L’aria è pesante, il cielo coperto, ma a pineta Cavunere una sosta all’ombra e abbondante bevuta sono rigeneranti. Terminata la salita si imbocca la calata alla grotta quasi a livello del mare. Tra gli arbusti diventiamo un lungo serpentone di puntini colorati dai nostri berretti, che si sgrana lungo la gradinata di cui dall’alto si nota la lignea transenna stinta dal sole.
Tutto intorno strapiombanti rocce calcaree, cielo, fitta macchia d’arbusti verdi e rossastri, mare dal blu intenso: lo stesso che nel marzo del 241 a. C. fu testimone della grande battaglia che pose fine alla prima guerra punica tra romani e cartaginesi. Le pareti che sovrastano la grotta sono abitate da gabbiani vocianti e segnate dalle rimanenti protuberanze delle stalattiti, anch’esse ormai annerite dagli agenti meteorici. L’attesa del turno di entrata richiede pazienza: un gruppo di romani è riuscito a batterci nei tempi.
Scattiamo con calma fotografie (non saranno possibili quelle all’interno della grotta), tiriamo il fiato, ci lasciamo catturare dalle fioriture di euforbia, acanto, rosmarino, capperi, finocchio selvatico. Riusciamo ad immortalare verdi lucertole senza coda in posa su qualche zaino e coloratissime processionarie che ci zampettano addosso e pullulano ovunque, anche sui pietroni dove cerchiamo appoggio.
A gruppi separati entriamo nell’antro carsico; nel vano più esterno, dove sono conservati i resti di una fornace per la calce di età tardo medievale, indossiamo il casco. Da lì sotto le bianche reticelle che scappano conferiscono a ciascuno un aspetto inconsueto e, complici pure le mascherine, diventiamo irriconoscibili, quasi degli splendidi alieni.
Per accedere alla camera delle pitture e delle incisioni è indispensabile superare uno stretto e basso cunicolo inginocchiati come quando si entra in un luogo sacro. Nell’antro semibuio si respira un’aura di misteriosa energia. Le incisioni rappresentano prevalentemente animali di grossa taglia e raffigurazioni umane, datati alla fase finale del Paleolitico Superiore, tra il 9000 e il 10000 a. C., quando ancora Levanzo e Favignana erano unite alla Sicilia.
Le pitture di colore nero, invece, sono state datate alla fase finale dell’epoca Neolitica, quando le tecniche agricole e di allevamento erano ormai ben consolidate. Nelle scene di vita quotidiana si riescono a distinguere figure maschili e femminili in danza rituale e una serie di animali equidi, bovidi, cervidi. La scoperta della retro-grotta risale al 1949 grazie alla curiosità di una tenace visitatrice: prima di lei nessuno degli isolani, a parte i conigli, era mai penetrato in essa. La scalinata viene risalita alla spicciolata man mano che si esce dalla gotta: tutti ci ritroveremo nella pineta all’inizio del sentiero selciato. Proprio tutti, anche colei che, avvisata dal cellulare (per fortuna c’era campo), è stata costretta ad abbandonare il gruppo di romani a cui si era erroneamente ed inconsapevolmente accodata.
Consumato lo spuntino torniamo a Cala Dogana per itinerario diverso da quello dell’andata: effettuiamo così un anello molto panoramico e di fronte al mare, attraversando ciò che resta di una campagna ormai poco curata. In zona Pietre Varate Peppe richiama all’attenzione, dopo aver ricompattato il gruppo. Ci si trova di fronte ad un ampio recinto: non è un ovile a cielo aperto, nemmeno un’aia, né una zona sacra. Ciò che vediamo è stato un bacino di raccolta dell’acqua: i massi a secco impedivano agli animali di entrare. L’acqua è ancora presente nel sottosuolo: dal pozzo vicino, Peppe ne estrae un secchio.
Il fondo forato favorisce un’esclusiva e graditissima doccia per mani, viso, testa di alcuni di noi. Un bel tratto lastronato ci fa raggiungere il Faraglione senza calata alla spiaggia. Il tempo che rimane non è molto: è preferibile una sosta con fresca bevuta   prima dell’imbarco alla volta di Favignana: il mare, per fortuna, non desta preoccupazione alcuna. (Maura)


GIOVEDI’ 26 MAGGIO – 6° GIORNO - REPORT DA FAVIGNANA
Per una ventina di noi è stato il giorno della biciclettata, a quanto pare un mezzo molto usato dai visitatori di quest’isola, a giudicare non solo dal numero di ciclisti in giro, ma anche per la quantità di negozi che offrono bici a nolo, al prezzo base di cinque euro per una giornata. La corrispondente bici base è di tipo “turistico”, unisex nel senso che ha il tubo curvo verso il basso, con il cambio a quattro rapporti e tripla volantina, corredata da un cordino antifurto, ma volendo si può avere di più, perfino una bici elettrica, a pochi euro in più.
Si percorrono dapprima strade all’interno, dove lo sguardo è attirato dalla moltitudine di cave cosiddette di tufo, che in realtà rispetto al tufo hanno in comune solo la facilità di lavorazione. Si tratta, come nella maggior parte della Sicilia, di calcarenite, una roccia sedimentaria in cui si trovano anche fossili ma che per la maggior parte è formata dalla cementazione di particelle di dimensione assimilabile alla sabbia, che si taglia con la sega. Queste cave sono ai lati delle strade che percorriamo e si presentano come scavi fino a profondità anche oltre i dieci metri, con pareti rese verticali dall’asportazione di blocchi parallelepipedi tagliati un tempo a mano, ora con seghe circolari di costruzione apposita. Le cave dismesse, spiega la nostra guida Peppe, hanno il fondo particolarmente rigoglioso di piante favorite dal microclima che si forma per effetto della protezione dal vento e dell’ambiente umido.
 Pedaliamo fino alla costa, dove grandi zone sono pure occupate da cave, e a questo punto, nella zona di Cala Rossa, lasciamo le bici e facciamo una sosta all’ombra, sotto la volta di una di esse, con davanti a noi l’isola di Levanzo, per cambiare argomento. La zona ispira Peppe a parlare della battaglia delle Egadi, decisiva per le guerre puniche, perché proprio da dietro quest’isola sbucarono nel 241 a.C. le navi romane in favore di vento contro la flotta cartaginese in transito da Marettimo verso Trapani.
La posizione lo porta anche ad approfondire l’argomento della pesca del tonno che, almeno prima dei disastri provocati dalla pesca globalizzata, entravano nel Mediterraneo per andare a riprodursi nel mar Ligure e passavano in prevalenza proprio nel braccio di mare che ci stava davanti. Qui la lezione di Peppe è stata veramente ricca di dettagli sulla composizione e la modalità di utilizzo della “tonnara”, la struttura di reti costruita per catturare grandissime quantità di tonni, sotto la guida di un “Rais” nominato dalla famiglia che deteneva il diritto di pesca, un personaggio che si potrebbe definire come un esperto pescatore salito a livello di supremo leader con delega quasi sacerdotale, visto che l’esito della pesca, da cui dipendeva l’economia dell’isola e del suo indotto, dipendeva anche da condizioni non accessibili agli umani.
Finita la fase informativa, c’è spazio per un bagno alla Cala Rossa, poi il passaggio alla grotta del Bue Marino, formata dal mare in collaborazione con la mano dell’uomo che ne modifica il profilo con le solite cave. Qui di nuovo c’è spazio all’ombra per uno spuntino, e poi ancora si pedala, con tratti piani e qualche dislivello non impossibile da superare, fino alla Cala Azzurra, altra spiaggia attrezzata con strutture di ristoro. Qui mi accorgo di aver perso la chiave del lucchetto della bici e, finché gli amici sono tra il mare e il bar, torno indietro fino a Cala Rossa e nel tragitto di chiavi ne trovo tre, segno che il mio inconveniente non è del tutto sporadico, ma forse nessuna è la mia, o almeno non riesco a girarla nel lucchetto! Pazienza, ne comprerò uno nuovo, andiamo avanti. Il prossimo bagno è previsto al Lido Burrone, zona sud dell’isola: si arriva sul posto ma qui altro imprevisto: Silvano ha lasciato a Cala Azzurra il costume, anche lui torna a cercarlo, il tempo passa, si vorrebbe ripartire ma non arriva, forse si è perso nel groviglio di stradine, sembra un dejà vue per chi ha partecipato al trekking in Salento e comunque tutto fa allegria.
Quando si riparte, il giro dovrebbe chiudersi, perché era previsto che riguardasse solo la metà dell’isola affacciata verso la costa siciliana, ma c’è ancora voglia di pedalare; si decide allora di proseguire dall’altra parte, che è separata da un rilievo montuoso, che a sud è attraversabile imboccando uno sterrato lungo il mare oppure una galleria; si percorre la galleria e dopo un po’ si incontra un villaggio turistico che prende il nome dal presunto sbarco di Ulisse alla Cala Grande. Da qui in poi si prosegue senza soste per strade secondarie, seguendo a distanza la costa occidentale, fino a raggiungere quella settentrionale, e solo a quel punto, visto che lo sterrato si arresta davanti al rilievo nord che termina a Punta Faraglione, diventa chiaro per tutti che da lì non si potrà tornare al paese di Praia, Favignana Centro, completando anche il giro di questo lato dell’isola: si rintraccia quindi una strada asfaltata che torna alla galleria percorsa prima e di lì, in leggera discesa, si raggiunge l’albergo. Non ho registrato la lunghezza del percorso, ma si può stimare vicino ai venti chilometri, percorsi volentieri da tutti e sempre con l’attenzione di darsi una mano in caso di necessità.
P.S. una delle chiavette andava bene, bastava insistere!  (Paolo)

GIOVEDÌ 26 MAGGIO – ANCORA DA FAVIGNANA
Una gita “diversamente bella” a Favignana.
Salutati i “ciclisti” la mattina, noi gruppetto dei “turisti puri” (Pino, Giuliana, Vanna, Elena, Betty, Lucia Colpo., Gina, Ettore, Valeria) pensiamo di visitare Palazzo Florio. L’allestimento di una mostra ci permette però solo una sbirciatina qua e là, tra cui alla minuscola sala consigliare. Tutto grazie alla simpatica complicità di un’inserviente che ci intrattiene con aneddoti sulla famiglia Florio. Quindi via di corsa al porto, dove ci attende il mitico giro in trenino! L’autista Michele intrattiene tutti simpaticamente, alternando spiegazioni e battute. “Amo quest’isola più della mia stessa vita” e la passione nei suoi modi fa pensare che non si tratti di frase fatta.
Ci avviamo quindi alla tonnara Florio, sul cui portale primeggia la sagoma di un leone sovrastata dalla scritta “L’industria domina la forza” a significare che quella non è stata una tonnara qualsiasi, ma una grande testimonianza di storie di padroni e di lavoratori, di speranze e di lotta, che andando di pari passo e intrecciandosi hanno reso possibile il classico progetto di fabbrica. Al suo interno vi era persino una antesignana nursery, grazie a donna Franca. Ma anche qui, a causa di una manutenzione, niente visita dello stabilimento. Tuttavia, grazie alla presenza nel sito di un “turtles rescue hospital”, assistiamo ad un’interessante spiegazione e facciamo visita a tre esemplari di tartarughe Caretta Caretta ricoverate, in via di guarigione.
Durante la sosta pranzo alla spiaggetta della tonnara, tra un pane cunzatu e un arancino, organizziamo il pomeriggio. “Ragazzi che ne dite di andare alla scoperta del Giardino dell’Impossibile a Villa Margherita?” Il taxi ci lascia lungo una polverosa sterrata, davanti ad un muro a secco. Entriamo, un po’ scettici, …“chessaramaistogiardino”. Ci accolgono il sorriso siciliano e i caldi occhi di Stefania. In abbigliamento dai toni glicine, ci guida attraverso le meraviglie di uno splendido giardino ipogeo, realizzato all’interno di una ex cava di calcarenite, contornata da pareti altissime, esse stesse opere d’arte a testimoniare le incisioni dei “pirriaturi”. Camminiamo in stato a tratti di sbigottimento, oltre che tra flora, fossili, pertugi che ospitano opere d’arte, fino ad un anfiteatro. Salutiamo Stefania col cuore pieno della bellezza di questo angolo di Paradiso, fortemente voluto da Maria Gabriella Campo e realizzato con grande amore, passione e tenacia, a dimostrare che l’impossibile, a volte, è possibile. Soprattutto se si pensa che tutto ebbe inizio negli anni Settanta da un piccolo appezzamento che, attraverso progressive annessioni, grazie anche al sostegno del marito della fondatrice, ha raggiunto l’estensione attuale di oltre 40.000 mq. Viva!  (Valeria ed Elena)






VENERDI’ 27 MAGGIO – 7° GIORNO – RISERVA NATURALE ORIENTATA DELLO ZINGARO
Oggi 27 maggio è il penultimo giorno del nostro trekking alle Egadi.
La sveglia è alle sei per prendere il catamarano delle sette e mezza che ci traghetterà dal porto di Favignana a Trapani, ahimè senza colazione. Fotografia di gruppo e poi breve viaggio con un mare calmo e il sole già caldo.
Appena scesi Peppe, la nostra guida di Naturaliter, ci sorprende come al solito accompagnandoci in una pasticceria del porto di Trapani dove ci aspettano tavoli imbanditi con dolcetti, brioches ed ogni ben di Dio. Quindi si riparte in pullman verso la nostra meta di oggi che è la Riserva Naturale Orientata dello Zingaro.
Per arrivare a Scopello, punto di partenza della nostra escursione, dobbiamo percorrere un tratto di strada di circa un'ora. Il paesaggio è collinare e comincia a popolarsi di cave. Custonaci, ci informa Peppe, è uno dei principali centri siciliani per l'estrazione e lavorazione dei marmi, il "perlato di Sicilia".
Poco a nord si vedono la frazione di Scurati e il monte Cofano, aspro promontorio dolomitico a strapiombo sul mare.
Arrivati a Scopello ci apprestiamo ad entrare nella riserva che per gli ultrasessantacinquenni prevede l'ingresso gratuito. Peppe ci racconta la storia della riserva istituita in Sicilia nel 1981 a seguito di una forte iniziativa ambientalistica che ha impedito la costruzione di una strada litoranea e quindi è riuscita a preservare questo meraviglioso tratto di costa siciliana.
Seguiamo il sentiero ben tracciato e subito ci fermiamo nel museo Naturalistico dove sono esposte alcune varietà di spighe e chicchi di grano del territorio come la Timilia, quella del Senatore Cappelli, la Maiorca, la Biancuccia e la Russello. Ci sono anche vari oggetti, soprattutto sedie di paglia intrecciata con fibre della Palma Nana (simbolo della Riserva) e attraverso dei pannelli fotografici rappresentazioni di flora e fauna locale. Attirano l'attenzione riproduzioni di animali costruite con tecnica raffinatissima tra cui ci colpisce l'istrice.
Si riprende il viottolo per scendere a cala Capreria. Il colore del mare è da sogno e anche se la cala è un po' affollata molti di noi scendono per fare il bagno nonostante l'acqua sia ancora piuttosto fredda.
Dopo questa tappa ci si avvia verso il museo della Manna tra orchidee terricole e garofani selvatici. Il frassino della Manna o Ornello che cresce vicino al museo è una pianta locale da cui praticando una serie di incisioni orizzontali nel tronco si ottiene una linfa bianca che si lascia seccare. Serve in farmacia come leggero lassativo e dolcificante.
Dal museo si può scendere verso cala Disa e cala Berretta dove si può osservare la contrada Zingaro che dà il nome alla riserva. Preferiamo proseguire perchè il caldo si fa sempre più opprimente. La sosta più lunga verrà effettuata alla grotta dell'Uzzo dopo aver visitato il museo dell'intreccio. La grotta dell'Uzzo è veramente impressionante per le dimensioni e il colore rosso vivo della roccia a picco sul mare, dove nidificano piccioni selvatici e rondoni. Qui sono stati ritrovati strumenti in selce e resti di fauna del periodo neolitico. Buona parte del gruppo scende nella splendida cala dell'Uzzo a fare il bagno e un po' di pic-nic.
Ci rimane l'ultimo tratto di questo meraviglioso angolo di costa che ci conduce a cala Tonnarella dell'Uzzo e al museo delle attività marinare dove è veramente interessante la rappresentazione di come avviene la mattanza dei tonni.
Usciamo dalla riserva dall'ingresso Nord dopo sette km di cammino e il pullman ci conduce a San Vito Lo Capo. Qui percorriamo le strade verso il centro della cittadina molto vivace e popolata, con case basse intonacate di bianco che rimandano all'impronta araba e spagnola. La spiaggia lunga e sabbiosa, con un mare splendido, è già occupata da molti turisti e bagnanti. In un bar nei pressi della spiaggia gustiamo il caldo-freddo, una vera bomba di calorie: gelato, panna, pan di Spagna, il tutto ricoperto da cioccolato caldo.
Torniamo a Trapani con negli occhi il colore del mare delle bianche cale e nel cuore la gioia di aver completato insieme anche questo cammino in mezzo alla natura intatta dello "Zingaro". (Annalisa)

SABATO  28 MAGGIO – 8° GIORNO – ERICE SEGESTA E FINE DEL TREKKING
Ottavo ed ultimo giorno del nostro trekking, valigie da caricare e sottile vena di malinconia nell’aria. Anche il tempo ci mette del suo: stamane è insolitamente fresco e qualche nuvolone grigio copre l’azzurro.
Peppe ci porta a visitare la chiesa del Purgatorio a Trapani, dove sono custoditi i “Misteri “di Trapani. Ammiriamo stupiti i diversi gruppi statuari della via Crucis realizzati da artisti artigiani nel XVI e XVII° secolo, a misura naturale, in cartapesta, legno e stoffa.
Questi gruppi sacri vengono fatti sfilare il Venerdì Santo per le vie della città in una affollatissima processione che richiama gente da ogni dove.
Il programma della nostra ultima giornata è intenso: stamattina ci aspetta Erice, in alto sul monte, borgo storico e artistico di straordinario fascino. Nell’antichità vi sorgeva un tempio dedicato a Venere Ericina, famoso perché vi si praticava la prostituzione sacra.
Mentre il pullman sale i tornanti, noi ci troviamo immersi in una nebbia sempre più fitta e in una pioggia via via più intensa. Scesi a terra, folate di vento ed acqua rovesciano i nostri ombrelli.
Da che parte andiamo? Non si vede nulla!  
Gregge spaurito e inzuppato, seguiamo da vicino il nostro Peppe percorrendo le pittoresche e deserte stradine del paese e riparando felici nella pasticceria più famosa del luogo, dove ci consoliamo con squisiti pasticcini di pasta di mandorla.
Di nuovo fuori nella pioggia, sostiamo brevemente nella chiesa di S. Rocco e davanti al famoso centro di cultura scientifica fondato dal prof. Zichichi e intitolato ad Ettore Majorana, scienziato di fama internazionale misteriosamente svanito nel nulla. Eccoci al Belvedere del Castello, nome che, considerata la visibilità del momento, suscita tra gli escursionisti commenti a dir poco ironici.
Persa ogni speranza di tregua del maltempo, qualcuno visita la bella Chiesa Matrice e qualcuno si disperde per pranzare all’asciutto.
Ci congediamo da Peppe: la nostra brava guida del trekking ci lascia e noi ci muoviamo alla volta di Segesta. Mentre scendiamo da Erice, il cielo sembra aprirsi un po’ e ci fa ben sperare ma, al momento di iniziare la visita, la pioggia riprende intensa.
Viviana, la nostra nuova preparatissima guida dagli straordinari occhi azzurri, ci illustra la storia del luogo e l’architettura del tempio che si erge maestoso e solitario davanti ai nostri occhi.
Le origini mitiche dell’antica città ci riportano ad Omero e alla guerra di Troia: sembra infatti che qui sia stato sepolto Anchise, il vecchio padre di Enea. La somiglianza con le origini di Roma appare evidente e spiega i privilegi di cui godette Segesta nei rapporti con la città eterna.
Il suo tempio grandioso racchiude un mistero: non è mai stato completato, non ha mai avuto un tetto né un tesoro da custodire. Forse proprio grazie a questo si è potuto conservare intatto nei secoli: il peso della copertura ne avrebbe facilitato il deterioramento, e la presenza di un tesoro avrebbe attirato predoni devastatori. Ma perché non è stato completato? Mentre riflettiamo su questo interrogativo, dal tempio ci spostiamo sulla sommità del monte Barbaro, dove sorge lo splendido teatro greco.
Finalmente il maltempo sembra placarsi e possiamo chiudere gli ombrelli e muoverci tra le antiche gradinate, immaginando pubblico ed attori all’opera. Davanti ai nostri occhi l’azzurro del mar Tirreno chiude all’orizzonte il panorama.
Con quanta cura e sapienza gli antichi sceglievano i luoghi su cui costruire!
Il trekking è agli sgoccioli. Il pullman ci lascia all’aeroporto di Palermo e a mezzanotte, come per Cenerentola, anche per noi è tutto finito: siamo nuovamente a Vicenza, al punto di inizio della nostra bellissima avventura.
Quanto vorremmo una fatina con la bacchetta magica che ci riporti indietro di una settimana! (Gina)
 

 
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