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Stefano Ardito
K2 – LA MONTAGNA DEL MITO
Leggere l’ultima impresa editoriale di Stefano Ardito - “K2 - La montagna del mito” - ci trasporta, come d’incanto, in terre lontane e magiche, ai tempi di una storia che, nel 2024, appare passata da secoli, per poi risvegliarci dalla magia delle prime scoperte di questa simbolica montagna e trasportarci in un presente con evidenti contraddizioni, tra spedizioni commerciali, rifiuti e tragedie, e l’auspicata “rivincita dell’Asia” nella gestione di questa “gigantesca piramide di roccia e ghiaccio”.
Come tutti i libri di Stefano, che porta nel cognome il nome del celebre Desio, organizzatore della vittoriosa spedizione italiana del 1954, anche questo è denso di storia, aneddoti, notizie curiose e grandi strategie, inserendo la storia di questa montagna nella Storia degli ultimi 140 anni del mondo, non solo occidentale.
Tanti numeri, a sostegno dei racconti, con la consueta precisione scientifica, tanti nomi dei protagonisti che hanno ruotato intorno alla storia del K2 e tante date a partire dal 1887, anno della scoperta del K2 da parte del tenente Francis Younghusband e del suo drappello, che lo descrive come «una montagna di dimensioni impressionanti», che sembra «ergersi come un cono perfetto, però incredibilmente alto».
Si passa, dopo circa 70 anni, alla conquista della vetta nel 1954, da parte della spedizione italiana, non priva di polemiche, ben note, tra Bonatti, Desio e la coppia Compagnoni-Lacedelli. Va dato atto all’autore di non aver impostato il libro intorno a questi amari eventi, ma di aver inserito un lungo episodio nella prima metà del libro, dandogli finalmente una spiegazione serena e oggettiva, ma soprattutto facendo un esauriente excursus sulle numerose spedizioni precedenti e sulla storia dell’alpinismo himalayano che, dopo il 1954, esattamente 70 anni fa, ha preso strade nuove, con salite in stile alpino e senza ossigeno, unite a salite commerciali in cui i nuovi schiavi della nostra epoca rischiano la vita per far arrivare in cima facoltosi occidentali non sempre preparati ad una salita che rimane una delle più impegnative del mondo.
Non è facile riassumere tutte le storie narrate, alcune particolarmente curiose e significative.
Basti pensare che la storia del K2 inizia con spedizioni guidate da inglesi nel 1901, poco dopo la scomparsa della regina Vittoria, una fu guidata da Aleister Crowley, che dopo l’alpinismo si dedicherà all’occultismo e alla magia. In successione la salita sarà tentata anche da Luigi Amedeo di Savoia, il Duca degli Abruzzi, a cui poi verrà dedicato lo Sperone degli Abruzzi, ancora oggi la via più seguita, e poi nel 1939 da Fritz Wiessner, in una spedizione accuratamente descritta e tragicamente conclusa. Altri tentativi nel 1953 da parte degli americani guidati da Charles Houston, che si era già cimentato prima della guerra.
Come giustamente ricordato, la seconda guerra mondiale porta con se milioni di morti ma anche un salto tecnologico: “Per far sopravvivere a diecimila metri di quota i piloti dei bombardieri americani in volo verso la Germania o il Giappone sono stati inventati un abbigliamento termico e respiratori infinitamente più piccoli e leggeri di quelli utilizzati da Mallory e Irvine sull’Everest. Dopo il 1950, per le truppe Usa che combattono in Corea, sono stati messi a punto degli scarponi caldi e comodi, ideali nel gelo dell’inverno”.
Ma solo l’anno successivo, nel 1954, grazie alla combinazione dal piglio quasi militare di Ardito Desio e delle indubbie capacità della squadra scelta, il K2 viene scalato dalla spedizione italiana, un successo che possiamo comprendere dai commenti di Dino Buzzati pubblicati sul Corriere della Sera. «Da parecchi anni gli Italiani non avevano avuto una notizia così bella. Anche chi non si era mai interessato d’alpinismo, anche chi non aveva mai visto una montagna, perfino chi aveva dimenticato che cosa sia l’amor di patria, tutti noi, al lieto annuncio, abbiamo sentito qualche cosa a cui si era persa l’abitudine, una commozione, un palpito, una contentezza disinteressata e pura» scrive il giornalista bellunese, appassionato alpinista.
«Era, dopo la caduta dell’Everest, la più superba e ardua rocca che restasse da conquistare» prosegue Buzzati «Era la massima fra le ultime superstiti occasioni che la Terra offrisse per misurare la nostra forza d’animo, la sfida più temeraria dell’uomo piccolissimo alla immensità della Natura selvaggia, ostile e sconosciuta. Era il traguardo più ambito per gli alpinisti dell’intero mondo.»
Tra le curiosità riportate nel libro spicca l’informazione seguente: “Milioni di italiani, in quei giorni, scoprono il K2 e se ne innamorano. Il nome della montagna diventa subito famoso, e nei mesi e negli anni successivi viene dato a bar, alberghi, ristoranti e officine, dalle Alpi alla Sicilia. Una ricerca, nel 2023, ne scoprirà più di 350 ancora esistenti.”
I successivi 70 anni vengono accuratamente descritti, concentrandosi sulle nuove sfide che vengono studiate e vinte, a partire dallo stile alpino, per passare dal versante cinese, l’apertura di nuove vie e l’avvento di nuove guerre, spedizioni commerciali e purtroppo della spazzatura che devasta anche le alte quote.
Ma queste nuove sfide portano anche alla nascita di “Mountain Wilderness, sottotitolo «Alpinisti di tutto il mondo a difesa dell’alta montagna», che nasce a Biella nel 1987 con il patrocinio della Fondazione Sella e del Club Alpino Accademico Italiano. L’idea è di Carlo Alberto Pinelli, alpinista e regista romano di origine torinese”.
Attraverso questo sodalizio verrà effettuata una profonda opera di bonifica: “Su una terrazza di neve, a 6800 metri di quota, si trovano i resti di decine di tende di ogni tipo, da quelle d’epoca con palerie in legno e rifiniture di ottone fino ai modelli moderni. Tutt’intorno affiorano medicinali, bombole di gas e altri materiali. Molte cose negli anni sono state inglobate dalla neve e dal ghiaccio”.
Numerosi i progetti di cooperazione con le popolazioni locali da parte di diverse comunità alpinistiche: “Chi percorre la strada che collega Skardu con Shigar, la valle del Braldo e Askole, scopre i cartelli che annunciano decine di interventi di cooperazione internazionale, realizzati da enti e associazioni con sede negli Stati Uniti, in Giappone, in Francia, nel Regno Unito e in altre parti del mondo. Come accade anche ai piedi dell’Everest e di altre montagne famose, molti di questi progetti sono stati avviati da alpinisti che hanno salito o tentato il K2”
Credo che questa sia la parte più interessante del libro, che tocca la nostra sensibilità di amanti della montagna nel 2024, un tempo in cui la commercializzazione e la devastazione delle alte quote si fa sentire fortemente, interconnessa con l’evidente cambiamento climatico in atto.
Rimane viva la bella testimonianza della riconquista del K2 da parte delle popolazioni locali, trasformando la montagna “simbolo” in una montagna che possa dare lavoro sostenibile alle comunità che lì vivono, insegnando a noi occidentali il rispetto e la sacralità di questa grande vetta.
Grazie a Stefano Ardito, che in questo viaggio storico e scientifico ci conduce per mano alla scoperta di questo massiccio, sapendo che “la storia del K2 continua, e anche questo la rende affascinante.”
Fabrizio Farroni
Stefano Ardito, K2 - LA MONTAGNA DEL MITO, Solferino Editore, Milano, 2024
Leggere l’ultima impresa editoriale di Stefano Ardito - “K2 - La montagna del mito” - ci trasporta, come d’incanto, in terre lontane e magiche, ai tempi di una storia che, nel 2024, appare passata da secoli, per poi risvegliarci dalla magia delle prime scoperte di questa simbolica montagna e trasportarci in un presente con evidenti contraddizioni, tra spedizioni commerciali, rifiuti e tragedie, e l’auspicata “rivincita dell’Asia” nella gestione di questa “gigantesca piramide di roccia e ghiaccio”.
Come tutti i libri di Stefano, che porta nel cognome il nome del celebre Desio, organizzatore della vittoriosa spedizione italiana del 1954, anche questo è denso di storia, aneddoti, notizie curiose e grandi strategie, inserendo la storia di questa montagna nella Storia degli ultimi 140 anni del mondo, non solo occidentale.
Tanti numeri, a sostegno dei racconti, con la consueta precisione scientifica, tanti nomi dei protagonisti che hanno ruotato intorno alla storia del K2 e tante date a partire dal 1887, anno della scoperta del K2 da parte del tenente Francis Younghusband e del suo drappello, che lo descrive come «una montagna di dimensioni impressionanti», che sembra «ergersi come un cono perfetto, però incredibilmente alto».
Si passa, dopo circa 70 anni, alla conquista della vetta nel 1954, da parte della spedizione italiana, non priva di polemiche, ben note, tra Bonatti, Desio e la coppia Compagnoni-Lacedelli. Va dato atto all’autore di non aver impostato il libro intorno a questi amari eventi, ma di aver inserito un lungo episodio nella prima metà del libro, dandogli finalmente una spiegazione serena e oggettiva, ma soprattutto facendo un esauriente excursus sulle numerose spedizioni precedenti e sulla storia dell’alpinismo himalayano che, dopo il 1954, esattamente 70 anni fa, ha preso strade nuove, con salite in stile alpino e senza ossigeno, unite a salite commerciali in cui i nuovi schiavi della nostra epoca rischiano la vita per far arrivare in cima facoltosi occidentali non sempre preparati ad una salita che rimane una delle più impegnative del mondo.
Non è facile riassumere tutte le storie narrate, alcune particolarmente curiose e significative.
Basti pensare che la storia del K2 inizia con spedizioni guidate da inglesi nel 1901, poco dopo la scomparsa della regina Vittoria, una fu guidata da Aleister Crowley, che dopo l’alpinismo si dedicherà all’occultismo e alla magia. In successione la salita sarà tentata anche da Luigi Amedeo di Savoia, il Duca degli Abruzzi, a cui poi verrà dedicato lo Sperone degli Abruzzi, ancora oggi la via più seguita, e poi nel 1939 da Fritz Wiessner, in una spedizione accuratamente descritta e tragicamente conclusa. Altri tentativi nel 1953 da parte degli americani guidati da Charles Houston, che si era già cimentato prima della guerra.
Come giustamente ricordato, la seconda guerra mondiale porta con se milioni di morti ma anche un salto tecnologico: “Per far sopravvivere a diecimila metri di quota i piloti dei bombardieri americani in volo verso la Germania o il Giappone sono stati inventati un abbigliamento termico e respiratori infinitamente più piccoli e leggeri di quelli utilizzati da Mallory e Irvine sull’Everest. Dopo il 1950, per le truppe Usa che combattono in Corea, sono stati messi a punto degli scarponi caldi e comodi, ideali nel gelo dell’inverno”.
Ma solo l’anno successivo, nel 1954, grazie alla combinazione dal piglio quasi militare di Ardito Desio e delle indubbie capacità della squadra scelta, il K2 viene scalato dalla spedizione italiana, un successo che possiamo comprendere dai commenti di Dino Buzzati pubblicati sul Corriere della Sera. «Da parecchi anni gli Italiani non avevano avuto una notizia così bella. Anche chi non si era mai interessato d’alpinismo, anche chi non aveva mai visto una montagna, perfino chi aveva dimenticato che cosa sia l’amor di patria, tutti noi, al lieto annuncio, abbiamo sentito qualche cosa a cui si era persa l’abitudine, una commozione, un palpito, una contentezza disinteressata e pura» scrive il giornalista bellunese, appassionato alpinista.
«Era, dopo la caduta dell’Everest, la più superba e ardua rocca che restasse da conquistare» prosegue Buzzati «Era la massima fra le ultime superstiti occasioni che la Terra offrisse per misurare la nostra forza d’animo, la sfida più temeraria dell’uomo piccolissimo alla immensità della Natura selvaggia, ostile e sconosciuta. Era il traguardo più ambito per gli alpinisti dell’intero mondo.»
Tra le curiosità riportate nel libro spicca l’informazione seguente: “Milioni di italiani, in quei giorni, scoprono il K2 e se ne innamorano. Il nome della montagna diventa subito famoso, e nei mesi e negli anni successivi viene dato a bar, alberghi, ristoranti e officine, dalle Alpi alla Sicilia. Una ricerca, nel 2023, ne scoprirà più di 350 ancora esistenti.”
I successivi 70 anni vengono accuratamente descritti, concentrandosi sulle nuove sfide che vengono studiate e vinte, a partire dallo stile alpino, per passare dal versante cinese, l’apertura di nuove vie e l’avvento di nuove guerre, spedizioni commerciali e purtroppo della spazzatura che devasta anche le alte quote.
Ma queste nuove sfide portano anche alla nascita di “Mountain Wilderness, sottotitolo «Alpinisti di tutto il mondo a difesa dell’alta montagna», che nasce a Biella nel 1987 con il patrocinio della Fondazione Sella e del Club Alpino Accademico Italiano. L’idea è di Carlo Alberto Pinelli, alpinista e regista romano di origine torinese”.
Attraverso questo sodalizio verrà effettuata una profonda opera di bonifica: “Su una terrazza di neve, a 6800 metri di quota, si trovano i resti di decine di tende di ogni tipo, da quelle d’epoca con palerie in legno e rifiniture di ottone fino ai modelli moderni. Tutt’intorno affiorano medicinali, bombole di gas e altri materiali. Molte cose negli anni sono state inglobate dalla neve e dal ghiaccio”.
Numerosi i progetti di cooperazione con le popolazioni locali da parte di diverse comunità alpinistiche: “Chi percorre la strada che collega Skardu con Shigar, la valle del Braldo e Askole, scopre i cartelli che annunciano decine di interventi di cooperazione internazionale, realizzati da enti e associazioni con sede negli Stati Uniti, in Giappone, in Francia, nel Regno Unito e in altre parti del mondo. Come accade anche ai piedi dell’Everest e di altre montagne famose, molti di questi progetti sono stati avviati da alpinisti che hanno salito o tentato il K2”
Credo che questa sia la parte più interessante del libro, che tocca la nostra sensibilità di amanti della montagna nel 2024, un tempo in cui la commercializzazione e la devastazione delle alte quote si fa sentire fortemente, interconnessa con l’evidente cambiamento climatico in atto.
Rimane viva la bella testimonianza della riconquista del K2 da parte delle popolazioni locali, trasformando la montagna “simbolo” in una montagna che possa dare lavoro sostenibile alle comunità che lì vivono, insegnando a noi occidentali il rispetto e la sacralità di questa grande vetta.
Grazie a Stefano Ardito, che in questo viaggio storico e scientifico ci conduce per mano alla scoperta di questo massiccio, sapendo che “la storia del K2 continua, e anche questo la rende affascinante.”
Fabrizio Farroni
Stefano Ardito, K2 - LA MONTAGNA DEL MITO, Solferino Editore, Milano, 2024
Leggere l’ultima impresa editoriale di Stefano Ardito - “K2 - La montagna del mito” - ci trasporta, come d’incanto, in terre lontane e magiche, ai tempi di una storia che, nel 2024, appare passata da secoli, per poi risvegliarci dalla magia delle prime scoperte di questa simbolica montagna e trasportarci in un presente con evidenti contraddizioni, tra spedizioni commerciali, rifiuti e tragedie, e l’auspicata “rivincita dell’Asia” nella gestione di questa “gigantesca piramide di roccia e ghiaccio”.
Come tutti i libri di Stefano, che porta nel cognome il nome del celebre Desio, organizzatore della vittoriosa spedizione italiana del 1954, anche questo è denso di storia, aneddoti, notizie curiose e grandi strategie, inserendo la storia di questa montagna nella Storia degli ultimi 140 anni del mondo, non solo occidentale.
Tanti numeri, a sostegno dei racconti, con la consueta precisione scientifica, tanti nomi dei protagonisti che hanno ruotato intorno alla storia del K2 e tante date a partire dal 1887, anno della scoperta del K2 da parte del tenente Francis Younghusband e del suo drappello, che lo descrive come «una montagna di dimensioni impressionanti», che sembra «ergersi come un cono perfetto, però incredibilmente alto».
Si passa, dopo circa 70 anni, alla conquista della vetta nel 1954, da parte della spedizione italiana, non priva di polemiche, ben note, tra Bonatti, Desio e la coppia Compagnoni-Lacedelli. Va dato atto all’autore di non aver impostato il libro intorno a questi amari eventi, ma di aver inserito un lungo episodio nella prima metà del libro, dandogli finalmente una spiegazione serena e oggettiva, ma soprattutto facendo un esauriente excursus sulle numerose spedizioni precedenti e sulla storia dell’alpinismo himalayano che, dopo il 1954, esattamente 70 anni fa, ha preso strade nuove, con salite in stile alpino e senza ossigeno, unite a salite commerciali in cui i nuovi schiavi della nostra epoca rischiano la vita per far arrivare in cima facoltosi occidentali non sempre preparati ad una salita che rimane una delle più impegnative del mondo.
Non è facile riassumere tutte le storie narrate, alcune particolarmente curiose e significative.
Basti pensare che la storia del K2 inizia con spedizioni guidate da inglesi nel 1901, poco dopo la scomparsa della regina Vittoria, una fu guidata da Aleister Crowley, che dopo l’alpinismo si dedicherà all’occultismo e alla magia. In successione la salita sarà tentata anche da Luigi Amedeo di Savoia, il Duca degli Abruzzi, a cui poi verrà dedicato lo Sperone degli Abruzzi, ancora oggi la via più seguita, e poi nel 1939 da Fritz Wiessner, in una spedizione accuratamente descritta e tragicamente conclusa. Altri tentativi nel 1953 da parte degli americani guidati da Charles Houston, che si era già cimentato prima della guerra.
Come giustamente ricordato, la seconda guerra mondiale porta con se milioni di morti ma anche un salto tecnologico: “Per far sopravvivere a diecimila metri di quota i piloti dei bombardieri americani in volo verso la Germania o il Giappone sono stati inventati un abbigliamento termico e respiratori infinitamente più piccoli e leggeri di quelli utilizzati da Mallory e Irvine sull’Everest. Dopo il 1950, per le truppe Usa che combattono in Corea, sono stati messi a punto degli scarponi caldi e comodi, ideali nel gelo dell’inverno”.
Ma solo l’anno successivo, nel 1954, grazie alla combinazione dal piglio quasi militare di Ardito Desio e delle indubbie capacità della squadra scelta, il K2 viene scalato dalla spedizione italiana, un successo che possiamo comprendere dai commenti di Dino Buzzati pubblicati sul Corriere della Sera. «Da parecchi anni gli Italiani non avevano avuto una notizia così bella. Anche chi non si era mai interessato d’alpinismo, anche chi non aveva mai visto una montagna, perfino chi aveva dimenticato che cosa sia l’amor di patria, tutti noi, al lieto annuncio, abbiamo sentito qualche cosa a cui si era persa l’abitudine, una commozione, un palpito, una contentezza disinteressata e pura» scrive il giornalista bellunese, appassionato alpinista.
«Era, dopo la caduta dell’Everest, la più superba e ardua rocca che restasse da conquistare» prosegue Buzzati «Era la massima fra le ultime superstiti occasioni che la Terra offrisse per misurare la nostra forza d’animo, la sfida più temeraria dell’uomo piccolissimo alla immensità della Natura selvaggia, ostile e sconosciuta. Era il traguardo più ambito per gli alpinisti dell’intero mondo.»
Tra le curiosità riportate nel libro spicca l’informazione seguente: “Milioni di italiani, in quei giorni, scoprono il K2 e se ne innamorano. Il nome della montagna diventa subito famoso, e nei mesi e negli anni successivi viene dato a bar, alberghi, ristoranti e officine, dalle Alpi alla Sicilia. Una ricerca, nel 2023, ne scoprirà più di 350 ancora esistenti.”
I successivi 70 anni vengono accuratamente descritti, concentrandosi sulle nuove sfide che vengono studiate e vinte, a partire dallo stile alpino, per passare dal versante cinese, l’apertura di nuove vie e l’avvento di nuove guerre, spedizioni commerciali e purtroppo della spazzatura che devasta anche le alte quote.
Ma queste nuove sfide portano anche alla nascita di “Mountain Wilderness, sottotitolo «Alpinisti di tutto il mondo a difesa dell’alta montagna», che nasce a Biella nel 1987 con il patrocinio della Fondazione Sella e del Club Alpino Accademico Italiano. L’idea è di Carlo Alberto Pinelli, alpinista e regista romano di origine torinese”.
Attraverso questo sodalizio verrà effettuata una profonda opera di bonifica: “Su una terrazza di neve, a 6800 metri di quota, si trovano i resti di decine di tende di ogni tipo, da quelle d’epoca con palerie in legno e rifiniture di ottone fino ai modelli moderni. Tutt’intorno affiorano medicinali, bombole di gas e altri materiali. Molte cose negli anni sono state inglobate dalla neve e dal ghiaccio”.
Numerosi i progetti di cooperazione con le popolazioni locali da parte di diverse comunità alpinistiche: “Chi percorre la strada che collega Skardu con Shigar, la valle del Braldo e Askole, scopre i cartelli che annunciano decine di interventi di cooperazione internazionale, realizzati da enti e associazioni con sede negli Stati Uniti, in Giappone, in Francia, nel Regno Unito e in altre parti del mondo. Come accade anche ai piedi dell’Everest e di altre montagne famose, molti di questi progetti sono stati avviati da alpinisti che hanno salito o tentato il K2”
Credo che questa sia la parte più interessante del libro, che tocca la nostra sensibilità di amanti della montagna nel 2024, un tempo in cui la commercializzazione e la devastazione delle alte quote si fa sentire fortemente, interconnessa con l’evidente cambiamento climatico in atto.
Rimane viva la bella testimonianza della riconquista del K2 da parte delle popolazioni locali, trasformando la montagna “simbolo” in una montagna che possa dare lavoro sostenibile alle comunità che lì vivono, insegnando a noi occidentali il rispetto e la sacralità di questa grande vetta.
Grazie a Stefano Ardito, che in questo viaggio storico e scientifico ci conduce per mano alla scoperta di questo massiccio, sapendo che “la storia del K2 continua, e anche questo la rende affascinante.”
Fabrizio Farroni
Stefano Ardito, K2 - LA MONTAGNA DEL MITO, Solferino Editore, Milano, 2024