Treschè Conca - Monte Cengio Forte Corbin - Escursione

Domenica 30 aprile 2023  (evento passato)

Tipo attività: Escursione Semplice
Sezione di Vicenza
Responsabile: Beppe Forti



Programma



TRESCHE’ CONCA - MONTE CENGIO - FORTE CORBIN
Si parte dal parcheggio dietro la chiesa di Treschè Conca, si procede per un breve tratto della strada per Forte Corbin, dalla quale si devia su una carrareccia in direzione del Piazzale Principe di Piemonte. Qui si prende il sentiero n. 651, si percorrono le gallerie del Cengio fino alla cima del monte. Si scende e si torna sulla strada di Forte Corbin se- guendo il sentiero 639. Si raggiunge il forte, con eventuale visita a pa- gamento se è aperto, e da qui si prende il sentiero n. 804, si scende a Contrada Rossi e si risale alla Chiesa di Treschè Conca dove si chiude l'anello. Un tratto del sentiero per le gallerie del Cengio è esposto, ma corre su una cengia artificiale molto larga e per di più protetta da una corda di acciaio.
DISLIVELLO: 750 m
TEMPI: ore 6.30 / 7.30
ORARIO PARTENZA: 7.30

CAPOGITA: Beppe Forti, cell. 339 3399597
 



Relazione



SABATO 29 APRILE 2023 – ANELLO: TRESCHÈ, CENGIO, CORBIN, TRESCHÈ         ESCURSIONE
Dopo qualche anno “sabbatico” riprendo a fare il capo-gita per la G.M. Nel corso della settimana che precede l'escursione prevista per domenica 30 aprile il tempo è tendente decisamente al brutto e le previsioni sono a dir poco catastrofiche. Il buon senso suggerirebbe di annullare la camminata e non pensarci più, ma mi brucia un po', dopo la mia lunga “latitanza”, arrendermi alla minaccia di quattro gocce. A dire il vero, le previsioni annunciano una schiarita per sabato 29, ma in quanto “figliol prodigo”, non so se ho l'autorità sufficiente per poter decidere in piena autonomia di anticipare l'uscita. A togliermi ogni dubbio arriva a inizio pomeriggio di venerdì 28 la telefonata di Beppe che mi chiede se sono d'accordo di anticipare l'escursione al giorno dopo. Gli rispondo che sta sfondando una porta aperta e così è deciso. Parte immediatamente un avviso via chat e benché siamo davvero in zona “last minute”, la mattina dopo ci ritroviamo a Laghetto in ben otto partecipanti, cinque gentildonne e tre gentiluomini che, quando si dice il caso, rispondono tutti e tre al nome di battesimo di Giuseppe!
A dire il vero, in barba alle previsioni del tempo, due impavidi si sono iscritti già giovedì, ma uno dei due sabato 29 non può venire per in via di un impegno inderogabile. L'altro — che poi è un'altra — conferma invece la propria presenza.
Alla partenza da Laghetto, più o meno all'orario previsto, il cielo non promette nulla di buono, ma ormai siamo in ballo e dobbiamo ballare. Dopo la consueta sosta al bar si inizia a camminare alle nove circa e per il momento le nuvole stanno a guardare. Dalla chiesa di Treschè imbocchiamo la strada per Forte Corbin e dopo un paio di chilometri deviamo sulla sinistra, prendendo atto con non poco disappunto della quasi completa cementificazione di una carrareccia che fino all'altro ieri era sterrata. Non incontriamo anima viva e cominciamo a pensare che il senso comune sia stato molto più saggio di noi; invece, giunti al Piazzale Principe di Piemonte, un discreto numero di macchine parcheggiate ci rincuora: non siamo gli unici sprovveduti a sfidare Giove Pluvio il quale per il momento sembra disattento o forse, più che a noi attempati escursionisti, è più interessato a qualche leggiadra ninfa dei boschi. Ci dispiace per lei e prima che, a causa di un netto rifiuto, Zeus scarichi su di noi la propria stizza, infiliamo svelti il sentiero 651 che dopo qualche centinaio di metri ci porterà a una cengia, scavata a picco sulla sottostante Val d'Astico dal genio Militare della Grande Guerra. Ci protegge dal baratro una specie di ringhiera formata da due cavi d'acciaio, sostenuti ogni tanto da qualche paletto metallico. È una protezione, tuttavia, che ha solo una funzione simbolica. La cengia, infatti, è abbastanza larga e nessuno di noi otto dichiara di soffrire di vertigini. Deve trattarsi, quindi, unicamente per un caso del tutto fortuito che procediamo appiccicati alla parete rocciosa opposta alla suddetta “ringhiera” e al sottostante strapiombo.
Cominciamo a entrare nelle gallerie scavate nella roccia da quei poveretti che vissero, e troppo spesso morirono, durante la Grande Guerra senza averne ben chiaro in testa il motivo. Estraiamo da zaini e tasche le nostre torce elettriche, impropriamente da noi chiamate “pile” e ci addentriamo negli antri oscuri che sono molto meno numerosi rispetto alle famose cinquantadue gallerie del Pasubio, visitate a suo tempo nientemeno che dall'attuale Sua Maestà Carlo III d'Inghilterra. Nel loro piccolo, tuttavia, valgono senz'altro il giro e forse sono anche meno pericolose, avendo tuttavia sempre l'accortezza di camminare incollati alla parete rocciosa di cui sopra. Degna d'attenzione, in particolare, è una delle ultime gallerie con un tracciato elicoidale che ci riporta in quota. Un'altra, l'ultima, è stata dotata perfino di illuminazione artificiale grazie a un pannello fotovoltaico che si trova  al suo ingresso e, per quanto fioca, al suo interno c'è luce sufficiente per risparmiare le batterie delle nostre torce. Prima di arrivarci c'è un passaggio tra due pareti di roccia verticali molto stretto e vivamente sconsigliabile a eventuali escursionisti obesi.
Alla fine sbuchiamo sul versante opposto allo strapiombo, in uno slargo nel quale si trovano alcuni pannelli fotografici che in origine dovevano aiutarci nel dare un nome alle cime del discreto panorama sul quale lo spiazzo si affaccia. Peccato che il tempo li abbia resi quasi illeggibili.
Nel frattempo Zeus deve essere sempre alle prese con le ninfe dei boschi e pare non gli stia andando poi così male, poiché è spuntato perfino un timido sole. Zitti zitti per non disturbare il boss dell'Olimpo in dolce compagnia, grazie a un comodo sentiero saliamo in pochi minuti alla cima del Monte Cengio, dove si trova il monumento in ricordo dei caduti nella battaglia nel corso della quale gli austro-ungarici si impossessarono a nostre spese del rilievo e si affacciarono sulla pianura sottostante. Avrebbero potuto dilagarvi, nel qual caso il conflitto avrebbe avuto un esito ben diverso, ma grazie all'ignavia dei nostri alti comandi, il “nemico” si era spinto troppo in avanti, rendendo difficoltoso il collegamento con le proprie retrovie e il relativo approvvigionamento di armi, munizioni e viveri. La guerra poi l'abbiamo vinta noi, vittoria alquanto dubbia, tuttavia, se dopo la rotta di Caporetto non fossero corsi in nostro aiuto Inglesi e Francesi. (Beppe Forti)
 

 
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